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Italia in top 7 delle crypto: battuti gli altri paesi europei. Ma ha senso? La nostra analisi

L'Italia si posiziona molto bene nella classifica dei paesi più aperti alle crypto. Ma quanto c'è di vero?

C’è (per qualcuno incredibilmente) anche l’Italia nella classifica dei migliori paesi per i business crypto. Non saremo ai primissimi posti, ma è comunque un risultato interessante, ammesso che si prendano per buoni i criteri che sono stati utilizzati da Social Capital Markets per svolgere la propria indagine.

L’Italia si classifica come settima, avanti a praticamente tutti i paesi europei, fatta eccezione per Svizzera e Estonia. Una posizione che probabilmente in pochi si sarebbero aspettati di vedere assegnato al nostro Paese.

Vediamo insieme quali sono i criteri che hanno spinto l’Italia ad una posizione di assoluto prestigio e se possono essere presi per buoni per valutare effettivamente quanto crypto friendly è il nostro paese.

Italia settimo paese per il mondo business crypto

L’indagine di Social Capital Markets ha preso in considerazione diversi fattori per valutare i paesi in termini di approccio al mondo crypto.

  • Chiarezza delle leggi
  • Tasse sul Capital Gain
  • Tasse sulle società
  • Numero di società crypto iscritte
  • Adozione

La classifica riportata da Social Capital Market è la seguente:

PosizionePaesePunteggio
1Dubai79
2Svizzera74,5
3Corea del Sud73,5
4Singapore72
5USA71
6Estonia69,5
7Italia68
8Russia67
9Germania66,5
10Brasile66,5

La classifica

L’Italia deve molto del suo punteggio all’adozione, per la quale ha ottenuto il punteggio più alto (19,5 su 20), mentre fa male per tasse sulle società, e numero di società registrate a tema crypto.

Adozione? Non è chiaro – dato che non è riportato nello studio, come sia stato calcolato il criterio, dato che ci sembra un tantino esagerato vedere l’Italia con punteggi di adozione che sono superiori a quelli di USA, Singapore, Dubai ma anche Turchia e Corea del Sud.

Una classifica che serve a qualcosa?

Parleranno in realtà altri numeri, ovvero quelli dei mercati. Di exchange che hanno scelto il nostro paese per la sede principale delle loro attività in Europa ce ne sono in realtà pochissimi (per non dire nessuno).

Ci sono anche poche società di spicco nate in Italia e con un respiro internazionale. Così come da tempo non si vede il lancio di progetti rilevanti nel panorama mondiale.

Difficile anche capire come la chiarezza delle leggi in Italia sia maggiore di quella di altri paesi che condividono il MiCA perché all’interno dell’Unione Europea.

Uno studio che ci lascia quantomeno perplessi e che – senza voler pubblicare una tirata anti-italiana – ci sembra esagerare nel rilevare l’apertura del nostro Paese verso questo tipo di attività

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