Uccidere, con un bottone. È questo il commento laconico di Paolo Ardoino, CEO di Tether, quando parla della possibilità degli Stati Uniti di porre fine a quello che è senza ombra di dubbio il business più di successo della storia delle criptovalute.
In un’interessante intervista per CoinDesk, Ardoino commenta la recente non-inchiesta del The Wall Street Journal, alla quale è stato dato lo spazio meritato anche su queste pagine.
Inchiesta che parlava di un interessamento da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti proprio nei confronti di Tether, che addirittura sarebbe a rischio sanzioni. Inchiesta smentita da Tether e che però nel corso della scorsa settimana ha causato delle reazioni al limite dell’inconsulto da parte dei mercati crypto.
Impossibile combattere gli USA, neanche con la “politica”
L’intervista apparsa poche ore fa su CoinDesk è delle più interessanti, perché vengono toccati i due punti salienti dell’intera vicenda Tether e del suo rapporto con gli Stati Uniti, prima potenza finanziaria e anche polizia del mondo quando si tratta di anti-riciclaggio e norme simili.
Se gli USA volessero ucciderci, potrebbero spingere un bottone e farlo ovunque noi siamo. Non combatteremo gli USA.
Per i meno avvezzi a come funzionano le cose del mondo, sembrerà una resa. E invece è la cronaca puntuale di come si può operare nel mondo – per quanto globale – finanziario. Impossibile operare su certi livelli – Tether ha 120 miliardi e rotti di dollari solo come riserva di USDT – senza il beneplacito – o meglio, senza essere ritenuti legali dagli USA.
Questione che era stata probabilmente dietro la decisione di Tether, arrivata lo scorso anno, di collaborare a livello molto più profondo con FBI, Dipartimento di Giustizia e anche Servizi USA.
Non saremo i migliori nel presentarci, ma quello che conta è che abbiamo a bordo FBI. Abbiamo a bordo anche US Secret Service [che non sono i servizi segreti, NDR]. Abbiamo lettere di ringraziamento da parte del Dipartimento di Giustizia. Credo che stiamo facendo… il meglio che possiamo.
Un’intervista interessante e che contribuisce – più delle smentite sulle indagini – a chiarire quella che è la posizione di Tether negli Stati Uniti. A prescindere da una protezione politica che anche Howard Lutwak, capo di Cantor Fitzgerald (custode degli asset di Tether negli USA) e nel team di Trump, potrà offrire.
E allora tutto è perduto?
No. La posizione di Tether è quella di una collaborazione piena da tempo. L’allarmismo di The Wall Street Journal appare come esagerato, anche a tenere conto di quanto effettivamente c’è sul tavolo.
Per ora, da parte del Dipartimento di Giustizia, assolutamente nulla.